Don Cammillo, Peppone e il fine comune
non mi riconosci se non ti riconosco
la presunzione del sapere, che ti chiude, ti preclude
Io le chiamo le parrocchie, grandi o piccole, come roccaforti.
Orgogliosi di essere medici o “non medici”, fino allo spasimo.
Si gioca il gioco, che vale per tutti:
da un lato il bisogno di essere il detentore di qualcosa per cui vuoi essere riconosciuto, un bisogno sociale inconscio, essere un ruolo, un’autorità in qualcosa,
dall’altro lato la paura di essere usato, esiliato, derubato delle tue brillanti idee (esperienza personale e comune)
E così, la diffidenza verso l’esterno gioca brutti tiri, blocca l’elasticità per aggiungere, modellare, crescere.
Il mondo viaggia allora per assiomi, certezze, punti di forza, appoggi che all’apparenza sono solidi, in realtà rischiano di essere zavorre.
“IO” ho conquistato la mia storia, a fatica, giorno dopo giorno e tu arrivi dal nulla e vuoi infiltrarti nelle mie certezze, nella mia roccaforte di sapere?
Ma non lo sai che il mio sapere, il mio bisogno di solidità, la paura di aprire i confini fa si che poi tutto quello che sperimento diventa assoluto, che i miei timpani si sclerotizzano, non riescono più ad ascoltare ?
Sono un medico, mi sono uccisa di studio e lavoro
Sono un non medico, ma lavoro con le persone, aiutandole, da una vita, studiando ed approfondendo.
Due roccaforti che si negano a vicenda, che si concedono spiragli, che si contrappongono.
Quante e quante volte nella mia vita mi è successo questo.
Avrei aneddoti da raccontare per giorni interi.
Ieri un’altro esempio di una persona non medico a cui ho proposto uno scambio alla pari di sapere, per arricchirci e trovare un vocabolario comune.
Non mi ha risposto, gentilissima, ma mi ha detto che conosce bene l’agopuntura perché è andata da un medico che la ha aiutata con l’agopuntura.
Peccato che io dopo aver studiato quaranta anni….non so niente (veramente! Mi sento ancora molto ignorante).
Ho sprecato il mio tempo, evidentemente.
Peccato che non le riconoscano il valore del suo lavoro.
Peccato che lei non riconosca il valore dell’ “altro”.
Ma credo sia solo diffidenza.
Non è più epoca di contrapposizioni.
Spero.
Leviamo i chiavistelli alle nostre porte, in nome di qualcosa di più nobile della targa all’entrata.
Non ho più intenzione di dimostrare niente, ma di far capire che un linguaggio comune può esistere, nel rispetto reciproco. Per arricchirci reciprocamente.
La mia formazione non ha mai disdegnato saperi costruiti fuori dall’ambito accademico che avessero poi una ricaduta reale e riproducibile su di me e sui miei pazienti.
Così come non disdegno, anzi, continuo ad imparare tutti i giorni dai miei pazienti.
“ noi e gli altri insieme per progredire”
“il miglor uso dell’energia “ (senza sprcarla, uniamo le forze)
Queste le basi dello judo, con cui sono cresciuta.
Con lo Judo impari che l’ultimo arrivato può insegnare alla cintura nera,
che cadere è la base di tutto.
Che l’umiltà è riconoscere che l’avversario è il tuo miglior alleato, ed averne un enorme rispetto, non paura o negazione.
Così si vince insieme.
Separati non siamo nessuno (anche se ci fregiamo di medaglie di vario genere, lauree, attestati, ecc)
Chi vuole provarci?