PREMESSA
Sono un medico laureato a Padova, appassionata di fisiopatologia.
La mia lingua madre, quella con cui penso e ragiono, è quella che mi hanno insegnato in questo rigoroso ateneo.
Ragionare al posto di “credere”
Credo che nessuno si possa arrogare il diritto di avere la Verità.
Nel corso della nostra storia medica abbiamo appreso moltissimo, ma spesso anche per tentativi, a seconda dei mezzi che ogni epoca aveva a disposizione.
Mi ricordo che il professor Onnis un giorno mise tutti gli strumenti chirurgici antichi (ma non troppo) sulla cattedra e ci ricordò la storia recente che ha portato ai protocolli terapeutici odierni a proposito dei tumori ginecologici.
Chissà se la scritta che aveva fatto incorniciare in aula è ancora lì.*
Questo avrebbe dovuto ricordare a noi, medici laureati a Padova, di non arrogarci mai il diritto di sentirci onnipotenti e dalla parte giusta.
Siamo sicuri che le terapie che prescriviamo ‘salveranno’ il paziente? Praticamente quasi mai.
Crediamo che quel determinato meccanismo di azione (sui diecimila che interagiscono) possa essere in percentuali variabili, quello in gioco per quella persona.
E alle volte, per patologie minori prescriviamo cure di cui non conosciamo nemmeno il meccanismo, ma che le linee guida ci dicono essere efficaci in quel determinato caso.
Un atto di fiducia in un sistema dentro il quale siamo cresciuti, di cui conosciamo il linguaggio. E di cui conosciamo l’efficacia ed i limiti.
*Sul muro dell’aula magna della Clinica Ginecologica qualcuno aveva scritto a lettere giganti “medici macellai” e il professor Onnis, al posto di farla cancellare, la fece incorniciare. Entrando in aula era ben visibile e sottolineata.
Ma ci sono anche altri sistemi medici, più antichi dei nostri.
Entrando in contatto con un punto di vista diverso di vedere il corpo umano, due sono le reazioni prevalenti.
Entrambe assurdamente estremizzate.
C’è chi subisce il fascino esotico di termini che non si riescono a tradurre adeguatamente, fascino alimentato dal fatto che effettivamente una diversa angolazione di prospettiva rende altre medicine efficaci dove quella occidentale fallisce.
Si diventa seguaci di una fede basata su un ‘miracolo’, funziona.
Allora si impara e d approfondisce questo linguaggio che chiamiamo complementare, gentilmente affermando che una quota di questi saperi potrebbe avere un fondamento, per quanto non dimostrabile con parametri correnti.
C’è chi invece nega aprioristicamente che ci siano verità al di fuori di quella propria, quasi sempre senza nemmeno sapere, chiedere, approfondire di cosa si sta parlando. Con enorme pregiudizio.
Ma sopratutto negando ai propri pazienti possibilità di cura che potrebbero fare la differenza.
Esempi da raccontare ne avrei tantissimi. Tutti a riprova che nessuno ha ragione e tutti hanno ragione.
Al centro il soggetto è sempre l’essere umano e l’intento di curare, con uguale etica e passione.
Il problema è un linguaggio mal tradotto, e nessun tentativo vero di intermediazione culturale.
Nel prossimo articolo vorrei proporre esempi pratici di come invece con un piccolo sforzo si possa cambiare l’approccio alla terapia dei nostri pazienti, senza cambiare linguaggio e senza credere a niente.